"La psicoanalisi è una professione?"

"La psicoanalisi è una professione?"

Articolo di Antonino Ferro, SPI

Talvolta il mestiere dell'analista è avvolto da mistero e timore. Per fare maggiore chiarezza sul metodo psicoanalitico, segnalo questo articolo scritto dal dott. Antonino Ferro.

Io ho una visione minimalista della psicoanalisi: è il metodo più efficace per il trattamento della sofferenza psichica. 

Ma quali strumenti usa un analista per “operare”? Lo strumento principale è se stesso, la sua mente, la sua ricettività, la sua capacità di tessere narrazioni in cui vi sia una rottura esistenziale e la sua capacità di trasformare fatti non digeriti attraverso il sogno, il gioco e il lavoro onirico.

A mio avviso la psicoanalisi è una sorta di ricetta fatta di scienza, artigianato, arte e (purtroppo) ortodossia, di conseguenza lo psicoanalista al lavoro dovrà necessariamente attingere a queste essenze mentre cerca di trasformare i blocchi mentali in emozioni sperimentabili o pensieri pensabili, rendendo pensabile, sopportabile e significativo il materiale non elaborato del sogno, che per questo è diventato un sintomo.
Un analista scompone storie indigeribili e tesse nuovi significati sostenibili. E’ co-narratore di sensorialità, che restituisce i prodotti elaborati al regno dei sogni e dell’inconscio. E’ un co-creatore di inconsci.
A questo punto, vorrei dire che di tutti i ruoli che un analista è chiamato a svolgere, quello centrale lo vede come una sorta di un “mago”, che usa la magia di suoni, immagini, parole, che esorcizza i demoni, cavalca draghi e così via. O meglio, è qualcuno che apre uno spazio per la fantasia, la creatività, l’assurdo e il fantastico.

Tolstoj una volta ha scritto di come lui e un amico avessero costruito un treno di sedie e godessero in questo gioco di finzione condivisa, fino a quando un fratello maggiore aveva rotto l’incantesimo dicendo “Che stupido gioco! Queste sono solo sedie!” Questo è esattamente ciò che un analista non deve mai fare. L’analista deve essere qualcuno che può vedere un treno o un castello o qualunque altra cosa dove ci sono solo sedie, cioè storie e personaggi da punti di vista fino ad allora imprevisti. L’analista è sempre un “co-narratore” e mai un solo autore, consapevole del fatto che ciò che è creato insieme è sempre fugace e che i mondi che continuamente si aprono e chiudono non sono conosciuti da nessuno, a parte i due co-autori. L’ascolto psicoanalitico nella stanza di analisi rende necessario un processo di trasformazione attraverso “il filtro magico” della capacità dell’analista di giocare e sognare nella seduta.

Ma ci si può aspettare di essere pagati per la messa in scena di operazioni mentali ed emozionali come queste? Direi di sì, perché per fare questo tipo di lavoro rinunciamo altri. Si tratta inoltre di una professione unica che comporta anni di rigorosa formazione simile a quella dell’Accademia di West Point, prima che l’aspetto artistico inizi a prevalere. Un analista al culmine della sua maturità (scientifica) sarà più un artista o un regista che uno scienziato.

Un paziente può venire in analisi o perché non sente nulla, il che lo taglia fuori dalla linfa vitale della vita, o perché è troppo sconvolto da emozioni violente, che lo lasciano costantemente stordito. In entrambi i casi, non è in grado di dare un significato personale a ciò che gli accade. La verità della sua esistenza gli sfugge: non una verità “scientifica” o razionale, ma la sua verità emotiva. Ma la verità su se stesso che l’analista gli può offrire, darà un senso di gioia e di pienezza alla sua vita solo se è il risultato di una condivisione, solo se nasce da un accordo sincero. Come raggiungere questa verità e come dirla, che è di fatto la stessa cosa, è il problema con la quale l’analista è continuamente confrontato.

Credo fermamente che se i pazienti possono essere aiutati a sviluppare i propri strumenti per pensare, sognare e sentire, saranno poi in grado di elaborare la propria esperienza emotiva per conto proprio. Questo, a mio parere, è un risultato molto soddisfacente.
Quindi, sia che abbiamo scelto di evidenziare l’aspetto scientifico o quello artistico della psicoanalisi, non possiamo considerarla altro che una professione.


Articolo tratto e adattato da:

https://www.spiweb.it/come-curiamo/la-psicoanalisi-e-una-professione/